L’acqua scorre trasportando con sé altre immagini, come quelle dei versi della poesia In quale bosco di Pierluigi Cappello: «Dove hai incontrato/te stesso in chissà quale bosco dei miei occhi/quando ti sei voltato e mi hai detto, Dio, quanto sole/così lontano, diverso, quanto ad uno ad uno i giorni/stringono il cuore e separano». Dove le parole: bosco, occhi, giorni, cuore, si seguono e si inseguono, nel loro incontrarsi, stringersi, separarsi. Proprio come le immagini del cinema di Mauro Santini, e del suo ultimo film Il fiume, a ritroso, che si incontrano, si stringono, intrecciandosi, e si allontanano, separandosi, perdendosi, per poi ritrovarsi, ancora, nel sapore delicato dei gesti e degli sguardi che si ripetono nel tempo che ci attraversa.
Russia 2020. Tre uomini e due donne della ricca borghesia moscovita giungono al Target, un luogo sperduto dell'ex URSS, le cui radiazioni hanno la proprietà di dare l'eterna giovinezza. Ritornati a Mosca insieme a un'abitante di un villaggio vicino il Target, scopriranno che la loro percezione dell'esistenza è mutata in modo irreversibile e tragico.
John Baltimore nel "bel mezzo del cammin di sua vita si ritrova per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita". Una dimensione onirico-allucinatoria, avvolta nelle classiche nebbie del gotico vampiresco, squarciate da fiammeggianti fluorescenze. A guidarlo all’origine dei propri spettri, per poterli rendere reali e trasformali in strumento per dare spiegazione del reale, il primo fra i poètes maudits, Edgar Allan Poe.
Terre meravigliose venute fuori dal movimento millenario della Terra, raccoltesi in guglie e torri di roccia, tengono in seno un piccolo villaggio dai sentieri pietrosi, palpitanti, custodi di storie, speranze, amori e rancori di tre piccoli ragazzi e delle loro famiglie.
Dei bambini partono alla ricerca del punto più alto da cui guardare l’incrocio dei treni a una velocità che realizza miracoli.
In un bosco, Circe dialoga con Leucò intorno alla sua relazione con Odisseo, uomo che non comprendeva il sorriso e che non voleva farsi né maiale né dio.
Natan è il figlio di due genitori separati che vivono in due realtà separate, l’Italia e il Messico. Alamar è il viaggio di un bambino alla scoperta e ricerca della propria casa. È lo splendido racconto della vicinanza tra padre e figlio prima di tornare ancora una volta a una separazione, all’assenza.
Sarah Polley indaga tra i segreti di una famiglia di cantastorie: scherzosamente interroga un cast di personaggi più o meno affidabili, provocando risposte piacevolmente schiette, ma perlopiù contraddittorie, alle medesime domande. Mentre ognuno riferisce la propria versione della mitologia familiare, i ricordi attuali si trasformano in fugaci apparizioni nostalgiche di un passato movimentato e divertente e delle ombre che si celano sotto la superficie.
Un uomo torna a Strasburgo per ritrovare una donna conosciuta sei anni prima in un bar della città.
In un villaggio di montagna dello Yunnan, provincia cinese sudoccidentale, vivono insieme al nonno tre sorelle. Le bambine raccolgono tuberi, preparano il pastone per i maiali, mangiano riso e verdura, sfangano gli stivali, accompagnano le pecore al pascolo, riempiono le gerle di sterco e lo ammonticchiano in una casupola. Dopo tanto tempo ritorna il padre per portare via con sé le due figlie più piccole in città, dove ha trovato un'altra donna e un altro lavoro. La maggiore resta al villaggio per badare al nonno e continuare a studiare in una scuola lercia quanto la baracca in cui viene raccolto lo sterco.