Sono molti mesi che Anders (Anders Danielsen Lie), 34 anni, cresciuto da genitori progressisti, non fa più uso di droghe, anche un semplice bicchiere di birra pare un ricordo lontano, restano solo le sigarette. Sono i suoi ultimi giorni in un centro di disintossicazione nelle campagne fuori Oslo; dall’ultima seduta di gruppo emergono le paure di chi, come lui, si appresta a ritornare all’esterno, al mondo. Anders invece trattiene tutto; poche ore prima ha tentato di ammazzarsi in un lago, con giacca e braccia cariche di pietre, ma qualche istante dopo è riemerso dall’acqua a respirare. Questo, però, nessuno lo sa. C’è un colloquio di lavoro in città – per una redazione – che lo aspetta: scrive molto bene, ma non lo fa da anni. L’incontro va male a causa sua, ma quelle ore saranno soprattutto un ritorno, tra deambulazioni e fermate, a persone, luoghi, ricordi fondamentali della sua esistenza.
«Non siamo qui a rievocare un passato tanto glorioso quanto irrimediabilmente finito. Qui, a Palazzo Te, sotto lo sguardo esigente di illustri testimoni, che hanno segnato, confermandolo e rigenerandolo, l’arcaico patto tra antichi uomini e antichi cavalli, si celebra un rito a evocare il futuro».
GLF
A Mantova, a Pallazzo Te, è appena andata in scena La Cerimonia del Sé, spettacolo di teatro barbarico della Libera Compagnia di uomini, cavalli e montagne. Abbiamo incontrato, qualche settimana fa, Giovanni Lindo Ferretti, che di questa Corte Transumante è voce e parola.
«Uno dei più grandi misteri è il motivo che induce migliaia di persone a passare i loro fine settimana estivi in ex campi di concentramento guardando forni in un crematorio» (Loznitsa). Sintomo di un imperialismo che è guerra spirituale, il turista, privo di una reale consistenza corporea, è un fantasma ossessionato da rovine, in cerca di cultura, di spettacoli di una cultura: non è davvero lì, si muove attraverso astrazioni, defunte iconografie, raccogliendo immagini anziché esperienze, e la vacanza non è che una nuova miseria sulla miseria altrui (cfr. Bay).
«Le cinéma est un art d'une fantomachie, si vous voulez, et je crois que le cinéma quand on ne s'y ennuie pas c'est ça, c' est un art de laisser revenir les fantômes» (Jacques Derrida)
«E quando furono saziati, disse ai discepoli: “raccogliete i pezzi avanzati che nulla si perda”.»
Giovanni, 6:12
È un movimento embrionale che sta per darsi mentre qualcos’altro è in procinto di giungere, il film di Alessandro Comodin; occhi aperti e in attesa, il tempo di una rincorsa e i I tempi felici verranno presto. Il plurale preannuncia un salto temporale, un varcare soglie e confini per ritrovarsi in età differenti che scorrono sempre in avanti, in un utopico futuro proiettato per aria.
È possibile che la comunicazione avvenga attraverso i sensi di cui ogni uomo è dotato, tuttavia è possibile anche che questo non avvenga, che qualcosa non funzioni in chi comunica, in chi riceve il messaggio o nel tramite, la letteratura filosofica (e non solo) a riguardo è molto ampia. I punti di rottura di una comunicazione possono essere molteplici e ognuno di questi può non essere il solo.
Pierre e Manon si amano. Fanno dei documentari con niente e sopravvivono facendo piccoli lavoretti. Pierre incontra una giovane stagista, Elisabeth, che diventa presto la sua amante. Egli non ha intenzione di lasciare Manon per Elisabeth, ma vuole stare con entrambe. Un giorno Elisabeth scopre e rivela a Pierre che la sua donna ha un amante. Manon e Pierre si separano.
Solo la famiglia può donarti la misura della tua crudeltà
(Antonin Artaud, I Cenci)
Citando Godard possiamo dire che La calle de la Amargura di Arturo Ripstein è al contempo un conte de faits (un racconto di fatti) e un conte de fées (un racconto fiabesco). È lo stesso regista a convincerci di questa lettura quando dichiara: «Il mio film è tratto da una storia vera - un omicidio che fece scandalo in Messico nel 2009 -, ma questo non viene dichiarato. E non è un caso. Perché preferisco l’invenzione [...]. La realtà è un’occorrenza passeggera. La verosimiglianza è, ai suoi massimi livelli, eterna. E` questa la mia aspirazione. La storia, i personaggi, l’atmosfera, la struttura del film sono più veri che mai, perché pur essendo nati dalla realtà sono diventati, grazie al cinema, una meravigliosa finzione.»
Deserto. Lo sguardo della mdp segue una traiettoria circolare che rivela il vuoto circostante. Nessun punto di riferimento, nessuna coordinata spaziotemporale: un limbo grigio impermeabile alla luce, un luogo opaco e misterioso. A un tratto, una voce metallica, marziana, cattura l’attenzione: un messaggio di rivolta si propaga nell’aria, diffuso tramite onde radio, trasportato dal vento: il mondo cui crediamo di appartenere in realtà non esiste. Le immagini che lo compongono celano il nulla. L’unica maniera per sopravvivere sta nel puro movimento.