Come sostiene Tommaso Isabella «Il cinema di Ben Rivers si è sempre mosso sapientemente sulla soglia incerta tra finzione e documentario, nell’intervallo che sta tra intuizione e costruzione» (Isabella). Un posizionamento interstiziale scelto per problematizzare lo statuto dell'immagine, e che rappresenta una delle questioni chiave attraverso cui poter provare a leggere e interpretare molta parte del cinema contemporaneo.
“- La sopravvivenza è divenuta immortalità, l'eternità si è sostituita al tempo, dopo un millennio di balbettii, l'umanità è pervenuta a inventare l'anima immortale tra il primo doppio e la prima anima la differenza di struttura mentale è assai considerevole... Abbiamo appena considerato le società che ignorano: la prima, il nostro sentimento di destino; la seconda, il nostro sentimento della nascita; la terza, il nostro sentimento dello scambio; l'ultima, il nostro sentimento della morte. Tra gli uomini di cui abbiamo appena parlato e il Greco, l'uomo gotico e noi stessi, cosa c'è di comune?
“Esther, tu existes tellement fort, comme une montagne.
Moi, c’est comme si mon existence ou le monde qui m’entoure tremblotait.
Alors, ça me rassure.
Que tu veuilles de moi ou non, je m’en fiche.
Si tu existes, ça veut dire que je ne suis pas enfermé dans un rêve.
En toi, à tes pieds, je dépose ma croyance.”
(da una lettera di Paul a Esther)
Mr. Zhang Believes del cinese Jionjiong Qiu è ulteriore, eccedente conferma di un cinema che riflettendo sulla stringente, ottusa contingenza (nelle cui pieghe si sedimenta l'enunciato politico, civistico, etico), non può fare a meno di riflettere su se stesso, sulle proprie possibilità di essere rispetto al tempo; di riflettersi come dispositivo di inerzie, attriti, parvenze che trovano linfa nella storia (verso cui cerca la massima rispondenza), pur destrutturandola in eco, cicaleccio, intreccio di scene riverberanti (di oscurità e voci, canzoni) in un teatro di posa, quale luogo di composizione ed elezione dell'opera, cioè una sorta di “gioco del mondo”.
Non c’è dubbio che il cinema di Francesco Dongiovanni sia tutto concentrato nella riflessione abissale sul tempo e non c’è dubbio che questa riflessione, travalicando se stessa, investa gli spazi di una memoria sconosciuta per lasciarli riemergere come microcosmi residuali di un’interiorità misteriosa.
I connotati sono quelli del delirio di tipo kafkiano, non stereotipo, ma radicato alla sostanza ruvida delle cose: dati concreti di fondo, ma amplificati a dismisura, fino a creare un universo in cui la regola è l’eccesso e l'aporia; non una soluzione dei fatti nutriti dalle cose, ma una dissoluzione continua degli eventi; accensione di eventi che si perdono nella continuità audio-video.
Pegaso, l’Orsa Maggiore, il Dragone, Andromeda… Jay Cavendish è questo: un ragazzo di 16 anni di ricca famiglia che osserva disteso il cielo notturno e le sue costellazioni, che fa della sua pistola una matita per tracciare da lontano la Cintura di Orione, prima di ripensare ancora a lei, a Rose, contadina, prima di addormentarsi sul terreno di una terra straniera.
Solo il corpo ferito esiste
J.B.
La grammatica è una macchina splendente, riflettente, raggiante (che poi la macchina, lo strato veloce, la sezione lamierata, specchiata è sempre, ad esempio: nell'abuso fotografico di porzioni d'alluminio, di riflessi obliqui su automobili lustre, e membrature, e interstizi cromati. Quindi abitacoli, telai, portiere angolate... e nel vetro, nel mezzo, prospettive e cruscotti di luce, lazzi di fori, schizzi e cavità in finiture. «Tutti i termini erotici sono tecnici e il godimento è mediatizzato tramite un apparecchio tecnico, attraverso una meccanica, e si riassume in un unico oggetto: l'automobile»[Baudrillard, 2010]. Questo vuol dire che una nuova edilizia spaziale, un nuovo stato metabolico sgorga dalla macchina, e che nelle sue periferie si situa il nuovo sangue).
«In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte» (Nietzsche, Frammenti Postumi)
La realtà è probabilistica, non è determinata a priori, il ruolo dell'osservatore è quindi cruciale. Ogni essere vivente osserva se stesso e il mondo (probabile) che lo circonda; osserva i mutamenti e le circostanze: così facendo presuppone che il suo reale non sia universale, che il suo sia un percorso individuale in un senso unico di marcia costellato da spazi numerati ma ripetuti infinite volte. Questi rappresentano le possibilità di variazione del suo cammino e ad ogni bivio è come se l'essere si scindesse in due storie probabili esistenti, simultaneamente, allo stesso tempo.
«Aspettiamo che la luce vada via».
Nell’attesa di cui il film si compone, il regista è soggetto-oggetto iperbolico della visione, incluso nell’inquadratura fissa che (lo) contempla e che procede in apparente assenza di direzione; al centro della scena, l’incarnato vivente della sua immaginazione: Lee Kang-sheng è contemporaneamente l’amante confidente, l’interrogato muto, l’oggetto attuale della visione e la proiezione ancora possibile. L’attesa immobile nella luce equivale alla parola detta (di Tsai) e a quella mancata (di Lee), è l’evento puro che non si vede e che, non essendo subordinato al risultato, fa a meno dell’azione1.