Rapsodie

Davide Sette
19-09-2024

Il tentativo, dichiarato, di Harmony Korine in questa sua nuova fase sperimentale è quello di ipotizzare ciò che viene dopo il cinema. Se in tantissimi hanno annunciato, a vario titolo e in maniera non sempre convincente, la “fine del cinema”, in pochi hanno effettivamente tentato di immaginare cosa ci può essere al di là, verso quali luoghi traghettare l’anima di questo medium apparentemente morente.

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Domenico Saracino
12-06-2024

Nel cinema ci sono forze – energie, impulsi, liberazioni – che i suoi schemi narrativi, l’insieme e l’intreccio dei quali chiamiamo comunemente “storia” o “trama”, non può (o non deve) controllare. L’atto del recitare, ad esempio: vale a dire, nella sua accezione più “performativa” e meno “rappresentativa”, l’espressione pura e incontenibile del sentire attraverso il gesto, l’azione.

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Davide Sette
10-06-2024

Il digitale nel cinema di Francis Ford Coppola è sempre stato un elemento traumatico, qualcosa impossibile da applicare in maniera “invisibile”, ma piuttosto un’invasione che lascia segni violenti, una massa estranea che rimane a vista, come spoglia senza vita che galleggia sulle immagini.

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Luigi Abiusi
12-05-2024

Solo qualche considerazione, qualche appunto sull'ultimo Guadagnino: un'idea che è tarlata per un po' nella mente, costruendosi lentamente un passaggio verso il passato, in quella nebulosa d'ombre e vegetazione, volti e ossessi, che scandisce un tempo tutto affettivo, un tempo di spettatore endemico (che non poteva che guardare, tenere gli occhi spalancati sulle cose, sui fenomeni, per un'ingiunzione dell'immanenza, della natura fotodinamica della realtà); quindi dentro una pura “immagine affezione”, luogo in cui sentimento (nostalgia) e visione sono tutt'uno.

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Luigi Abiusi
29-01-2024

La strada del cinismo, del nichilismo passivo, e del gelido grottesco nei cui anfratti si esaurisca l'umano, che era stata del Lanthimos delle origini – ricordo l'impressione che fece all'epoca Kinetta ma ancora di più Kynodontas, a inaugurare una vera e propria maniera del cinema greco – e aveva raggiunto il culmine soprattutto nel Sacrificio del cervo sacro, ora sembra accantonata in queste Povere creature, così Bella Buxter, una robotica poi flessuosa Emma Stone, con la sincerità infantile che la contraddistingue, lo svela lapidariamente a Lanthimos (Henry): «sei solo un bambino che non sopporta il dolore del mondo. Il mondo non è solo cattivo».

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Luigi Abiusi
10-01-2024

La questione del movimento, della qualità del movimento, è alle origini del cinema di Wenders, si sa: non tanto la motilità dei personaggi dentro l’inquadratura, quanto la tensione della forma verso un "falso movimento", la stasi, a rapprendere cioè le forze cinematografiche in un ecosistema stagnante, uno spazio di fissità degli elementi che scandiscono il tempo. E i 4:3 di Perfect Days testimoniano di questo processo di sfibramento del ritmo, di stagnazione dell’aria: come un’esigenza di fermare l’attimo, magari l’epifania frusciante di luci tra le foglie.

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Domenico Saracino
07-01-2024

Se l’esperienza estetica è la più alta forma possibile di interazione tra gli esseri umani e tutto ciò che li circonda – come ha magistralmente teorizzato John Dewey nel suo testo più noto, Arte come esperienza –, allora potremmo dire che L’expérience Zola, l’ultimo film di Gianluca Matarrese, ne è una sorta di prova audiovisiva, un’attestazione rivelatrice.

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Marika Consoli
29-12-2023

Alla precarietà dell’esistente, ai colpi duri della storia che mescola le carte, disperde opportunità ed esistenze sul piano privato e collettivo, all’urlo sommesso degli ultimi che sopravvivono alle bombe del quotidiano e di una guerra «maledetta» Aki Kaurismäki di Foglie al vento oppone il codice delle inquadrature asettiche, asciutte, essenziali, lineari persino nella tavolozza dei colori utilizzata, che sparge di arancione e di blu quello che sembra il canovaccio dell’azione, elementare, marionettistica quasi nelle posture scelte per gli attori, nel loro porsi in modo statico davanti all’obiettivo spesso frontale, rigido, come se ci mettesse tutti – ed ognuno nella propria solitudine – davanti ad un dipinto d’altri tempi: tempi che sarebbero facilmente collocabili al di fuori da ogni cornice se non ci fosse la voce proveniente dalla radio a dirci che invece il tempo è qui, è distruzione e morte, strage di innocenti, l’Ucraina dei civili massacrati; se non fosse che questo tempo arriva come da lontano a fare da sfondo alla guerra del vivere o, meglio, del non smettere di arrendersi alla non vita, rimandando un po’ più in là l’opportunità di sperare ancora.

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Sergio Sasso
30-11-2023

«Molti si rifiutano di credere che l’aldilà non è altro che un freddo infinito vuoto, ma io lo accetto insieme alla libertà che deriva nel riconoscere tale verità.» Il killer di Fincher si pone riflessioni metafisiche perché condannato a vivere un’esistenza liminare, caratterizzata da scetticismo (che esclude la verità assoluta ma non rinuncia alla dialettica), da non scambiare per cinismo (che nega qualsiasi valore e forma di alterità).

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Luigi Abiusi
08-09-2023

C’è sempre qualcosa di cupo nel cinema di Saverio Costanzo, delle zone d’ombra o zone morte, zone di morte, in questo caso, di morta: tutto un ecosistema che vibra di crepuscolo (e d’alba: sono intermezzi luminosi, limini di dormiveglia) in cui si consuma l’esistenza dei personaggi. Finalmente l’alba è l’apoteosi di questo ecosistema - apoteosi barocca, carica di materiale audio-video, segni, sagome anarchiche che sembrano straripare dagli argini dell’inquadratura -, vera e propria apologia del cinema e più in generale dell’immaginazione, della necessitata, imperitura narrazione di forme di cui siamo fatti, di cui siamo sfatti, spossati ogni volta le forme svaniscono facendoci affacciare sul gouffre, il vuoto, infinitamente profondo: è quella teoria dell’abisso presente anche nei film di Bonello e Kröger.

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