Rapsodie

Arianna Trigiante
03-02-2025

Luce, di Luca Bellino e Silvia Luzi, è un'opera dai toni marcatamente introspettivi che proprio nella ricerca di un senso alla vita, come di luce particolare, una manifestazione insperata, ovvero un atto puramente trascendente, dirige Marianna Fontana fuori dall'ombra disidentificante della sua vita incolore.

Ne abbiamo parlato con i suoi due autori.

In ambienti opprimenti come quelli che raffigurate, in cui i dati personali sembrano dissolversi, come si costruisce e decostruisce il concetto di identità?

Abbiamo voluto creare uno spazio simile a una catena di montaggio, un mondo in cui ripetitività e alienazione costringono la protagonista a cercare risposte solo dentro sé stessa. Abbiamo scelto una fase di lavorazione tradizionale, chiamata inchiodatura, che consiste nello stendere e fissare le pelli ad alte temperature. È una metafora perfetta: un personaggio “inchiodato” a un destino che limita la sua crescita e le impedisce di guardare verso una luce, nascosta ai suoi occhi. Questo luogo rappresenta sia la costrizione, sia la forza di chi si piega senza spezzarsi. È proprio in questo stato che si accende in lei una scintilla di fantasia che la spinge a intraprendere un percorso verso il completamento della propria identità.

Il Sud Italia sembra essere per voi l’ambiente perfetto per rappresentare il conflitto tra autorità e individuo, in un contesto rarefatto dove anche una voce ignota assume un valore approssimativamente salvifico.

Il Sud possiede strati di tensione culturale e sociale che risuonano profondamente con noi. È un luogo dove l’autorità appare quasi fisicamente impressa, un antagonista silenzioso ma sempre presente. La voce è un espediente narrativo, una guida ambigua, che sembra offrire aiuto senza mai promettere una via d’uscita certa. Non è un percorso che porta necessariamente a una risposta definitiva, ma piuttosto una ricerca che spinge il personaggio a esplorare. È il viaggio che conta, una scoperta che, anche se incompiuta, rimane indispensabile.

L’idea di riscrivere la sceneggiatura giorno per giorno è affascinante. È stata una scelta per mantenere fluida l’evoluzione della protagonista, liberandola dalla fissità di una trama rigida?

Esattamente. Partiamo con una sceneggiatura di base, ma quando ci confrontiamo con luoghi reali e le persone che li abitano, la nostra comprensione del personaggio si arricchisce. Per Luce, l’attrice Marianna Fontana si è immersa nella vita del paese per mesi, lavorando in negozi locali per assorbire le dinamiche e il dialetto del posto. Durante le prove, abbiamo riscritto scene basandoci sulle inflessioni e le esperienze reali di coloro che incontrava. Quando siamo arrivati alle riprese, tutto aveva acquisito un ritmo – quasi una danza – che rifletteva sia la precisione della sua interpretazione sia la naturalezza degli scambi che aveva vissuto.

Guardando al futuro, ritenete che i vostri prossimi progetti continueranno a indagare questi temi o immaginate di esplorare nuovi orizzonti narrativi?

Stiamo già lavorando al prossimo film, che manterrà come tema centrale la lotta contro il potere e un percorso di ribellione che emerge come una necessità inevitabile.

Davide Sette
09-12-2024

Quella del regista iraniano Mohammad Rasoulof è una storia di cinema clandestino, che resiste trovando sempre nuove vie per realizzare i propri film nonostante la censura del regime, gli arresti, i trattenimenti, le multe e le angherie di un potere che non ammette la libera espressione attraverso l’arte.

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Davide Sette
19-09-2024

Il tentativo, dichiarato, di Harmony Korine in questa sua nuova fase sperimentale è quello di ipotizzare ciò che viene dopo il cinema. Se in tantissimi hanno annunciato, a vario titolo e in maniera non sempre convincente, la “fine del cinema”, in pochi hanno effettivamente tentato di immaginare cosa ci può essere al di là, verso quali luoghi traghettare l’anima di questo medium apparentemente morente.

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Domenico Saracino
12-06-2024

Nel cinema ci sono forze – energie, impulsi, liberazioni – che i suoi schemi narrativi, l’insieme e l’intreccio dei quali chiamiamo comunemente “storia” o “trama”, non può (o non deve) controllare. L’atto del recitare, ad esempio: vale a dire, nella sua accezione più “performativa” e meno “rappresentativa”, l’espressione pura e incontenibile del sentire attraverso il gesto, l’azione.

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Davide Sette
10-06-2024

Il digitale nel cinema di Francis Ford Coppola è sempre stato un elemento traumatico, qualcosa impossibile da applicare in maniera “invisibile”, ma piuttosto un’invasione che lascia segni violenti, una massa estranea che rimane a vista, come spoglia senza vita che galleggia sulle immagini.

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Luigi Abiusi
12-05-2024

Solo qualche considerazione, qualche appunto sull'ultimo Guadagnino: un'idea che è tarlata per un po' nella mente, costruendosi lentamente un passaggio verso il passato, in quella nebulosa d'ombre e vegetazione, volti e ossessi, che scandisce un tempo tutto affettivo, un tempo di spettatore endemico (che non poteva che guardare, tenere gli occhi spalancati sulle cose, sui fenomeni, per un'ingiunzione dell'immanenza, della natura fotodinamica della realtà); quindi dentro una pura “immagine affezione”, luogo in cui sentimento (nostalgia) e visione sono tutt'uno.

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Luigi Abiusi
29-01-2024

La strada del cinismo, del nichilismo passivo, e del gelido grottesco nei cui anfratti si esaurisca l'umano, che era stata del Lanthimos delle origini – ricordo l'impressione che fece all'epoca Kinetta ma ancora di più Kynodontas, a inaugurare una vera e propria maniera del cinema greco – e aveva raggiunto il culmine soprattutto nel Sacrificio del cervo sacro, ora sembra accantonata in queste Povere creature, così Bella Buxter, una robotica poi flessuosa Emma Stone, con la sincerità infantile che la contraddistingue, lo svela lapidariamente a Lanthimos (Henry): «sei solo un bambino che non sopporta il dolore del mondo. Il mondo non è solo cattivo».

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Luigi Abiusi
10-01-2024

La questione del movimento, della qualità del movimento, è alle origini del cinema di Wenders, si sa: non tanto la motilità dei personaggi dentro l’inquadratura, quanto la tensione della forma verso un "falso movimento", la stasi, a rapprendere cioè le forze cinematografiche in un ecosistema stagnante, uno spazio di fissità degli elementi che scandiscono il tempo. E i 4:3 di Perfect Days testimoniano di questo processo di sfibramento del ritmo, di stagnazione dell’aria: come un’esigenza di fermare l’attimo, magari l’epifania frusciante di luci tra le foglie.

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Domenico Saracino
07-01-2024

Se l’esperienza estetica è la più alta forma possibile di interazione tra gli esseri umani e tutto ciò che li circonda – come ha magistralmente teorizzato John Dewey nel suo testo più noto, Arte come esperienza –, allora potremmo dire che L’expérience Zola, l’ultimo film di Gianluca Matarrese, ne è una sorta di prova audiovisiva, un’attestazione rivelatrice.

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Marika Consoli
29-12-2023

Alla precarietà dell’esistente, ai colpi duri della storia che mescola le carte, disperde opportunità ed esistenze sul piano privato e collettivo, all’urlo sommesso degli ultimi che sopravvivono alle bombe del quotidiano e di una guerra «maledetta» Aki Kaurismäki di Foglie al vento oppone il codice delle inquadrature asettiche, asciutte, essenziali, lineari persino nella tavolozza dei colori utilizzata, che sparge di arancione e di blu quello che sembra il canovaccio dell’azione, elementare, marionettistica quasi nelle posture scelte per gli attori, nel loro porsi in modo statico davanti all’obiettivo spesso frontale, rigido, come se ci mettesse tutti – ed ognuno nella propria solitudine – davanti ad un dipinto d’altri tempi: tempi che sarebbero facilmente collocabili al di fuori da ogni cornice se non ci fosse la voce proveniente dalla radio a dirci che invece il tempo è qui, è distruzione e morte, strage di innocenti, l’Ucraina dei civili massacrati; se non fosse che questo tempo arriva come da lontano a fare da sfondo alla guerra del vivere o, meglio, del non smettere di arrendersi alla non vita, rimandando un po’ più in là l’opportunità di sperare ancora.

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