Uzak 45 | inverno/primavera 2024

Rapsodie

Luigi Abiusi
29-01-2024

La strada del cinismo, del nichilismo passivo, e del gelido grottesco nei cui anfratti si esaurisca l'umano, che era stata del Lanthimos delle origini – ricordo l'impressione che fece all'epoca Kinetta ma ancora di più Kynodontas, a inaugurare una vera e propria maniera del cinema greco – e aveva raggiunto il culmine soprattutto nel Sacrificio del cervo sacro, ora sembra accantonata in queste Povere creature, così Bella Buxter, una robotica poi flessuosa Emma Stone, con la sincerità infantile che la contraddistingue, lo svela lapidariamente a Lanthimos (Henry): «sei solo un bambino che non sopporta il dolore del mondo. Il mondo non è solo cattivo».

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Luigi Abiusi
10-01-2024

La questione del movimento, della qualità del movimento, è alle origini del cinema di Wenders, si sa: non tanto la motilità dei personaggi dentro l’inquadratura, quanto la tensione della forma verso un "falso movimento", la stasi, a rapprendere cioè le forze cinematografiche in un ecosistema stagnante, uno spazio di fissità degli elementi che scandiscono il tempo. E i 4:3 di Perfect Days testimoniano di questo processo di sfibramento del ritmo, di stagnazione dell’aria: come un’esigenza di fermare l’attimo, magari l’epifania frusciante di luci tra le foglie.

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Domenico Saracino
07-01-2024

Se l’esperienza estetica è la più alta forma possibile di interazione tra gli esseri umani e tutto ciò che li circonda – come ha magistralmente teorizzato John Dewey nel suo testo più noto, Arte come esperienza –, allora potremmo dire che L’expérience Zola, l’ultimo film di Gianluca Matarrese, ne è una sorta di prova audiovisiva, un’attestazione rivelatrice.

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Marika Consoli
29-12-2023

Alla precarietà dell’esistente, ai colpi duri della storia che mescola le carte, disperde opportunità ed esistenze sul piano privato e collettivo, all’urlo sommesso degli ultimi che sopravvivono alle bombe del quotidiano e di una guerra «maledetta» Aki Kaurismäki di Foglie al vento oppone il codice delle inquadrature asettiche, asciutte, essenziali, lineari persino nella tavolozza dei colori utilizzata, che sparge di arancione e di blu quello che sembra il canovaccio dell’azione, elementare, marionettistica quasi nelle posture scelte per gli attori, nel loro porsi in modo statico davanti all’obiettivo spesso frontale, rigido, come se ci mettesse tutti – ed ognuno nella propria solitudine – davanti ad un dipinto d’altri tempi: tempi che sarebbero facilmente collocabili al di fuori da ogni cornice se non ci fosse la voce proveniente dalla radio a dirci che invece il tempo è qui, è distruzione e morte, strage di innocenti, l’Ucraina dei civili massacrati; se non fosse che questo tempo arriva come da lontano a fare da sfondo alla guerra del vivere o, meglio, del non smettere di arrendersi alla non vita, rimandando un po’ più in là l’opportunità di sperare ancora.

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Sergio Sasso
30-11-2023

«Molti si rifiutano di credere che l’aldilà non è altro che un freddo infinito vuoto, ma io lo accetto insieme alla libertà che deriva nel riconoscere tale verità.» Il killer di Fincher si pone riflessioni metafisiche perché condannato a vivere un’esistenza liminare, caratterizzata da scetticismo (che esclude la verità assoluta ma non rinuncia alla dialettica), da non scambiare per cinismo (che nega qualsiasi valore e forma di alterità).

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Luigi Abiusi
08-09-2023

C’è sempre qualcosa di cupo nel cinema di Saverio Costanzo, delle zone d’ombra o zone morte, zone di morte, in questo caso, di morta: tutto un ecosistema che vibra di crepuscolo (e d’alba: sono intermezzi luminosi, limini di dormiveglia) in cui si consuma l’esistenza dei personaggi. Finalmente l’alba è l’apoteosi di questo ecosistema - apoteosi barocca, carica di materiale audio-video, segni, sagome anarchiche che sembrano straripare dagli argini dell’inquadratura -, vera e propria apologia del cinema e più in generale dell’immaginazione, della necessitata, imperitura narrazione di forme di cui siamo fatti, di cui siamo sfatti, spossati ogni volta le forme svaniscono facendoci affacciare sul gouffre, il vuoto, infinitamente profondo: è quella teoria dell’abisso presente anche nei film di Bonello e Kröger.

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Domenico Saracino
28-08-2023

Quando il teatro (o il cinema, aggiungiamo noi) si disinteressa della mimesi, della drammaturgia o della spettacolarizzazione, ha l’occasione di fare qualcosa di miracoloso: disvelare, far emergere l’aletheia delle cose. Così la pensavano Grotowski o Artaud, ad esempio, il quale per tutta la sua vita ha più volte sostenuto, con forza, la necessità di «ignorare la messa in scena» e di “sopprimere” il «lato strettamente spettacolare dello spettacolo». 

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Massimiliano Martiradonna
01-08-2023

Ynon Kreitz è il CEO della Mattel dal 2018, periodo in cui l’azienda versava in una crisi che pareva irreversibile. Kreitz ha cominciato con un drastico taglio del personale: 2.200 licenziamenti, tra il 2018 ed il 2019. Contemporaneamente, ha definito la sua strategia: intrattenimento globale multimediale. Forte della sua carriera trionfale del mondo dei TV Media (Fox, Endemol), ha creato la Mattel Films, pensando già ad un Mattel Cinematic Universe. Il suo obiettivo? Contrapporre eroi/eroine Mattel, nati giocattolo, a supereroi Disney, nati fumetto.

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Luigi Abiusi
15-05-2023

Una prima versione di questo articolo è stata pubblicata sul Manifesto il 27 aprile 2023

L'energia della bugia, della finzione – le verità più recondite emanate dal falso, dall'artefatto; Nietzsche, poi Heidegger la chiamavano «poesia»: il finto, foss'anche barocco, l'evocazione di mondi, infraregni di fantasia – è il motore di Mediterranean Fever di Maha Haj (premiato a Cannes) che però ha poco di palestinese, di quello che uno si aspetterebbe da un film palestinese, cioè storie di terre e libertà, di popoli invasi e resistenti di fronte al prepotente.

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Massimiliano Martiradonna
06-05-2023

Il cinema non è morto. Giusto! Oppure il cinema è un non morto? La pandemia sembrava aver inferto il colpo di grazia al grande schermo, invece ci voleva solo linfa nuova, anzi, sangue nuovo. Tantissimo sangue, per dare un tocco di colore ad un immaginario fortemente provato dalla privazione, ma anche dall’imposizione. C’è stato un tempo, in questa parte dell’universo, in cui pareva si dovesse vivere di soli cinefumettoni, per ragazzi di tutte le età.

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